Che cosa rende un mondo vivibile non è una domanda oziosa. Non è solo una domanda da filosofi. È una domanda che viene posta in continuazione, in vari modi, da persone che fanno parte di diversi ambiti della vita. Se questo li rende tutti filosofi, allora è una conclusione che sono felice di accettare. Diventa una questione etica, credo, non solo quando ci poniamo la domanda personale: cosa rende sopportabile la mia vita, ma quando ci chiediamo, da una posizione di potere e dal punto di vista della giustizia distributiva, cosa rende, o dovrebbe rendere, sopportabile la vita degli altri? Da qualche parte nella risposta ci troviamo non solo impegnati in una certa visione di ciò che la vita è, e di ciò che dovrebbe essere, ma anche di ciò che costituisce l'umano, la vita distintamente umana, e ciò che non lo è. C'è sempre il rischio dell'antropocentrismo, se si presume che la vita umana sia preziosa - o la più preziosa - o che sia l'unico modo di pensare il problema del valore. Ma forse, per contrastare questa tendenza, è necessario porre sia la questione della vita che quella dell'umano, senza lasciare che collassino completamente l'una nell'altra.