Voleva toccare quella donna.
Voleva sporcare la pelle di Eleanor con la promessa di baci che
l’avrebbero segnata dentro, dove nessuno avrebbe mai potuto leggere
quanto profondamente il conte l’avesse marchiata come sua.
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Si scoprì a ricordare una carezza leggera e naturale, uno sguardo
complice e rapito, un contatto tenero e fugace consumato in uno
spazio angusto e scomodo. Una vasca. Lei, come non sarebbe mai più
stata.
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«Che cosa credevate di fare?» Eleanor, un po’ stupita e un po’
offesa, lo guardò come se non credesse a ciò che lui le aveva appena
fatto. «Mi sembrava di essere stata chiara a Clifton Hall, dovete
lasciarmi in pace!»
«E allora vattene!» Ashton l’aggredì all’improvviso, esausto.
Disperato. Tutta quella smania, quella voglia di lei... Di quella donna
che faceva male al cuore... Lo capì con chiarezza, una realtà
distruttiva e logorante: Eleanor White lo avrebbe sempre respinto, allo
stesso modo in cui non avrebbe mai smesso di rifiutare il desiderio che
Ashton nutriva nei suoi confronti. Lui invece sarebbe rimasto schiavo
di quella serva e della voglia che lo stava logorando istante dopo
istante, solo. Perduto.
Senza speranza.
«VATTENE!»
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Faceva male. Qualunque sentimento risultava doloroso accanto a
quella donna, ogni cosa che nasceva e moriva attorno a Eleanor
possedeva spine taglienti che si conficcavano ovunque dentro di lui.
Un dolore al quale, nonostante tutto, il suo corpo non riusciva a
rinunciare.
Graffiami. Incidi tutta te stessa dentro di me, così che possa avere
l’illusione di averti per sempre.
«Dimmi che sarà sufficiente» mormorò contro le sue labbra.
Dimmi che basterà per cancellarti dalla mia mente.
Dimmi che potrò essere libero da te.
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