L'oggettivismo è l'eliminazione dell'interferenza lirica dell'individuo come ego, del "soggetto" e della sua anima, quella peculiare presunzione con cui l'uomo occidentale si è interposto tra ciò che è come creatura della natura (con determinate istruzioni da eseguire) e quelle altre creazioni della natura che possiamo, senza alcuna deroga, chiamare oggetti. Infatti, l'uomo è egli stesso un oggetto, quali che siano i suoi vantaggi, e tanto più si riconosce come tale quanto maggiori sono i suoi vantaggi, soprattutto nel momento in cui raggiunge un'humilitas sufficiente a renderlo utile. Si arriva a questo: l'utilità di un uomo, per se stesso e quindi per gli altri, sta nel modo in cui concepisce il suo rapporto con la natura, quella forza a cui deve la sua esistenza un po' ridotta. Se si allarga, troverà poco da cantare se non se stesso, e canterà, la natura ha modi così paradossali, attraverso forme artificiali al di fuori di sé. Ma se rimane dentro di sé, se è contenuto nella sua natura come partecipa alla forza più grande, sarà in grado di ascoltare, e il suo ascolto attraverso se stesso gli darà segreti oggetti da condividere. E per una legge inversa le sue forme si faranno strada da sole. È in questo senso che l'atto proiettivo, che è l'atto dell'artista nel campo più ampio degli oggetti, porta a dimensioni più grandi dell'uomo. Il problema dell'uomo, nel momento in cui assume il discorso in tutta la sua pienezza, è quello di dare al suo lavoro la sua serietà, una serietà sufficiente a far sì che la cosa che fa cerchi di prendere il suo posto accanto alle cose della natura. Non è facile.