Nella depressione questa fede nella liberazione, nella restaurazione finale, è assente. Il dolore è incessante e ciò che rende la condizione intollerabile è la consapevolezza che non ci sarà alcun rimedio, né in un giorno, né in un'ora, né in un mese, né in un minuto. Se c'è un lieve sollievo, si sa che è solo temporaneo; seguirà altro dolore. È la mancanza di speranza, ancor più del dolore, a schiacciare l'anima. Perciò il processo decisionale della vita quotidiana non consiste, come nelle cose normali, nel passare da una situazione fastidiosa a un'altra meno fastidiosa, o dal disagio a un relativo comfort, o dalla noia all'attività, ma nel passare da un dolore all'altro. Non si abbandona, nemmeno per poco, il proprio letto di chiodi, ma vi si rimane attaccati ovunque si vada. Ne deriva un'esperienza impressionante, che ho chiamato, prendendo in prestito la terminologia militare, la situazione del ferito che cammina. Infatti, in qualsiasi altra malattia grave, un paziente che provasse una simile devastazione sarebbe sdraiato a letto, magari sedato e attaccato ai tubi e ai fili dei sistemi di supporto vitale, ma almeno in una posizione di riposo e in un ambiente isolato. Il suo invalidismo sarebbe necessario, indiscusso e onorevole. Tuttavia, chi soffre di depressione non ha questa possibilità e quindi si ritrova, come un caduto di guerra ambulante, spinto nelle situazioni sociali e familiari più intollerabili. Lì deve, nonostante l'angoscia che gli divora il cervello, presentare un volto che si avvicini a quello associato agli eventi ordinari e alla compagnia. Deve cercare di fare due chiacchiere, rispondere alle domande, annuire e aggrottare le sopracciglia e, Dio lo aiuti, persino sorridere. Ma è una prova feroce tentare di pronunciare poche e semplici parole.

Author: William Styron

Nella depressione questa fede nella liberazione, nella restaurazione finale, è assente. Il dolore è incessante e ciò che rende la condizione intollerabile è la consapevolezza che non ci sarà alcun rimedio, né in un giorno, né in un'ora, né in un mese, né in un minuto. Se c'è un lieve sollievo, si sa che è solo temporaneo; seguirà altro dolore. È la mancanza di speranza, ancor più del dolore, a schiacciare l'anima. Perciò il processo decisionale della vita quotidiana non consiste, come nelle cose normali, nel passare da una situazione fastidiosa a un'altra meno fastidiosa, o dal disagio a un relativo comfort, o dalla noia all'attività, ma nel passare da un dolore all'altro. Non si abbandona, nemmeno per poco, il proprio letto di chiodi, ma vi si rimane attaccati ovunque si vada. Ne deriva un'esperienza impressionante, che ho chiamato, prendendo in prestito la terminologia militare, la situazione del ferito che cammina. Infatti, in qualsiasi altra malattia grave, un paziente che provasse una simile devastazione sarebbe sdraiato a letto, magari sedato e attaccato ai tubi e ai fili dei sistemi di supporto vitale, ma almeno in una posizione di riposo e in un ambiente isolato. Il suo invalidismo sarebbe necessario, indiscusso e onorevole. Tuttavia, chi soffre di depressione non ha questa possibilità e quindi si ritrova, come un caduto di guerra ambulante, spinto nelle situazioni sociali e familiari più intollerabili. Lì deve, nonostante l'angoscia che gli divora il cervello, presentare un volto che si avvicini a quello associato agli eventi ordinari e alla compagnia. Deve cercare di fare due chiacchiere, rispondere alle domande, annuire e aggrottare le sopracciglia e, Dio lo aiuti, persino sorridere. Ma è una prova feroce tentare di pronunciare poche e semplici parole. - William Styron


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