Che cosa può farci tornare da questo futuro deserto, nella sfera del nostro essere, la grande danza che ci unisce alla nostra casa, gli uni agli altri e alle altre creature, ai morti e ai non nati? Penso che sia l'amore. Mi rendo conto di quanto questa parola sia ormai impalpabile e imbarazzante, perché abbiamo imparato subito a farne un uso eccessivo, ad abusarne e a tenerla in sospetto. Ma non intendo un tipo di amore astratto (adolescenziale, romantico o "religioso"), che probabilmente è una contraddizione in termini, bensì un amore particolare per cose, luoghi, creature e persone particolari, che richiede prese di posizione, atti, che mostrano i propri successi e fallimenti in effetti pratici o tangibili. E implica una responsabilità altrettanto particolare, non cupa o semplicemente doverosa, ma che nasce dalla generosità. Credo che questo tipo di amore definisca il raggio d'azione effettivo dell'intelligenza umana, il raggio d'azione entro il quale le sue opere possono essere attendibilmente benefiche. Solo l'azione mossa dall'amore per il bene ha la speranza di essere responsabile e generosa. Il desiderio di futuro produce parole che non possono essere mantenute. Ma l'amore rende il linguaggio esatto, perché si ama solo ciò che si conosce.
