Leggendo queste storie, si è tentati di pensare che le arti da apprendere siano quelle dell'inseguimento, della caccia, della navigazione, della sopravvivenza e della fuga. Anche nel mondo quotidiano del presente, l'ansia di sopravvivenza si manifesta in automobili e vestiti per occasioni ben più dure di quelle a portata di mano, come a esprimere un qualche senso di durezza delle cose e di prontezza nell'affrontarle. Ma le vere difficoltà, le vere arti della sopravvivenza, sembrano trovarsi in ambiti più sottili. Lì, ciò che viene richiesto è una sorta di resilienza della psiche, una disponibilità ad affrontare ciò che viene dopo. Questi prigionieri mettono in scena in maniera forte e drammatica ciò che accade in ogni vita: le transizioni per cui si cessa di essere ciò che si era. Raramente è così drammatico, ma comunque qualcosa di questo viaggio tra il vicino e il lontano continua in ogni vita. A volte una vecchia fotografia, un vecchio amico, una vecchia lettera vi ricorderanno che non siete più quelli che eravate un tempo, perché la persona che abitava tra loro, apprezzava questo, sceglieva quello, scriveva così, non esiste più. Senza accorgersene si è percorsa una grande distanza; lo strano è diventato familiare e il familiare, se non strano, almeno scomodo o imbarazzante, un indumento superato. E alcune persone viaggiano molto più di altre. C'è chi riceve come diritto di nascita un adeguato o almeno indiscusso senso di sé e chi comincia a reinventarsi, per sopravvivenza o per soddisfazione, e viaggia lontano. C'è chi eredita valori e pratiche come una casa che abita; c'è chi deve abbattere quella casa, trovare il proprio terreno, costruire da zero, anche come metamorfosi psicologica.