A Balbec, ero arrivato al punto di trovare il piacere d'intrattenermi in svaghi con fanciulle meno funesto alla vita intellettuale – cui, d'altronde, rimane estraneo – che non l'amicizia, il cui sforzo consiste esclusivamente nel farci sacrificare l'unica parte reale e incomunicabile (se non per mezzo dell'arte) di noi stessi a un io superficiale, che anziché trovare, come l'altro, gioia dentro di sé, prova una confusa commozione nel sentirsi sostenuto da puntelli esterni, ospitato in un'individualità estranea dove, felice della protezione accordatagli, fa rifulgere in approvazione il proprio benessere, e va in estasi di fronte a qualità che chiamerebbe difetti, e cercherebbe di correggere, in se stesso. D'altra parte, coloro che disprezzano l'amicizia possono essere, senza illusioni e non senza rimorsi, i migliori amici del mondo, così come un artista che porta in sé un capolavoro e sente che sarebbe suo dovere vivere per lavorare, ciononostante, per non apparire o rischiare d'essere egoista, dà la sua vita per una causa inutile, e con tanto maggiore ardimento quanto più disinteressate erano le ragioni per cui avrebbe preferito non darla.
Autore: Marcel Proust